una rosa d'oro

 

Narrativa


 Bruno Caruso-Ragazza agrigentina-1982-Acquaforte

   Bruno Caruso
-Ragazza agrigentina-1982-
Acquaforte

ZOOM

  Desinare ad Ustica

La nave bianca aspettava al molo.Entrammo direttamente nella stiva,assieme ad autocarri carichi di ferramenta e laterizi,per ripide scalette sbucammo sulla tolda,proprio in cima:c’erano panche di legno,disposte in fila.
Lì ci sedemmo .I viaggiatori non erano molti, perché la giornata non era festiva:per lo più erano giovani,alcune donne di mezza età e qualche straniero.
Appena fuori dal porto lei mi disse “che fai?” ,quasi che finalmente avesse trovato spazio per noi.La guardavo,s’era smagrita,come se il viso si fosse cancellato e le fossero rimasti solo gli occhi,neri e assai vivaci. E poi l’espressione era più dura:il desiderio di affermarsi,di essere qualcuno  aveva lasciato una traccia.
Allargai le braccia con fare rassegnato e sul suo viso passò come un’ombra. Si slacciò il vestito che era aperto sul davanti e si stese sulla panca dove eravamo seduti.
Portava un costume intero ma molto sgambato, bianco;la pelle era già abbronzata,color caffellatte.
Altre donne la imitarono -pareva che avessero aspettato un segnale convenuto-e chi non si sdraiò sulle panchine di legno se ne stette affacciato ai bordi della nave  .
Dovevano trascorrere le due ore della traversata.
Preferimmo,quasi di tacito accordo,non parlare e rimandare a dopo quello che avevamo da dirci.
Quando fummo in vista dell’isola,si ricompose. Andò verso prua e la visione della sua terra la illuminò tutta,come se la stesse vedendo per la prima volta.
Seguimmo attentamente le manovre d’attracco e , allorchè  la nave fu saldamente ormeggiata , scendemmo.Lei marciava spedita,io la seguivo.Aveva i fianchi magri e la vita sottile,le gambe erano ben fatte anche se un po’ muscolose.
Percorse il breve molo di cemento che si protendeva sull’acqua e poi un tratto di strada.Davanti a noi si profilava una stradina a gradini,distanti l’un dall’altro almeno un metro,come usava una volta per le vie in salita.Un viandante si affiancò a noi e di punto in bianco ci apostrofò.
- E’ la prima volta che venite?-
 Si appoggiava ad un ramo d’albero privato delle foglie e della corteccia, era un uomo piuttosto anziano, il viso tutto rughe, asciutto e abbronzato, come di cuoio, con cui facevano un forte contrasto i capelli bianchi e lanosi.
-Io si, dissi,lei è oriunda-
Sembrò dispiaciuto della risposta e gettò un’occhiata come di rimprovero sulla mia compagna .
-Non l’ ho mai vista,signorina –poi aggiunse: –Di qui si risparmia molta strada sotto il sole-
Un passo dopo l’altro lentamente costeggiammo facciate di case colorate,rampicanti che coprivano muri,terrazzini assolati.Ogni tanto il vento portava un profumo di fiori.Mi voltai indietro verso l’imbarcadero.Dal punto in cui eravamo si vedeva tutto l’approdo:non c’era più nessuno.La maggior parte dei passeggeri che aveva affollato la nave,o era già per la strada a gradini, come noi, o s’era sparpagliata fra le calette ed il lembo di sabbia davanti all’attracco. L’aria era tersa.
-Lei è di Palermo?—Si- -Qui i primi abitanti furono palermitani, ma anche napoletani e pure liparoti,di Lipari.Non è così?-chiese alla mia compagna e senza aspettare risposta proseguì .
-Solo che ora s’è persa l’origine.Ora tutto è mescolato, vengono dalla Lombardia,dall’estero . D’estate ci sono tanti milanesi e molti si sono pure comprati le case. Ci faccia caso,metà delle ragazze è del Nord-
Qualche uscio aperto lungo la strada lasciava intravedere l’interno: se non era abitazione era un emporio o una rivendita di bibite.Per lo più c’erano ragazze scure di pelle sedute  sugli scalini della soglia: sembrava che stessero ad oziare, con fare indolente.Qualcuna mangiava un gelato.
-Qui una volta si pescava il corallo e pure il pescespada!-e con questa frase il viandante, che aveva percorso la strada insieme a noi, parve congedarsi, perché si fermò entrando poco dopo in una casa bassa dipinta d’azzurro  sbiadito che aveva porta e finestre chiuse.
Chiesi alla mia compagna se sapeva  dove potessimo mangiare: l’ora del pranzo era vicina : l’aria buona e la strada percorsa mi avevano risvegliato l’appetito.Ma lei rispose che mancava da troppo tempo dal posto per essere sicura della scelta .
Così domandammo ad un cameriere di bar che stava appoggiato  fumando davanti la porta del locale.Ci indicò ,inclinando la testa verso destra ,una strada in salita,di lato ad uno spiazzo con degli alberi.Non stiede neanche a pensarci su:-L’ultima traversa di quella strada,vedrà l’insegna-disse sicuro.
Arrivati alla piazza un tassista si offrì di condurci all’altro capo dell’isola,verso Punta Spalmatore . Rifiutammo.
Lei mi lasciò.-Non c’è bisogno che tu venga,puoi stare qui seduto ad aspettarmi.Io farò presto-disse e si diresse verso la sacrestia della Chiesa Madre al centro della piazza.
Io mi sedetti a un  tavolo del caffè lì vicino,sotto l’ombra di un albero.Subito venne un garzone a chiedermi cosa volessi ordinare.Chiesi una granita di limone per me, prenotandone un’altra per lei quando fosse tornata.
A poco a poco sotto gli alberi i tavoli del bar si riempirono di gente,era l’ora del pranzo.Riconobbi alcuni passeggeri della nave:ora avevano un’aria di vacanza, portavano  abiti più succinti e alcune ragazze solo il costume da bagno.
Per la strada passavano e ripassavano  motori e motorini,con ragazzi che sembravano affaccendati ma che in realtà giravano per le stradine senza meta per attirare l’attenzione di qualche giovane turista.Scomparivano dalla vista in fondo alla piazza per riapparire poco dopo dal lato opposto.
Per tutto il tempo della traversata mi ero domandato che cosa ci stessi a fare ormai con lei su quella nave,per quale motivo dovessi dividere con lei quella giornata.
Un motivo apparente non c’era.
Per una tranquilla amicizia.
Detestavo quelle parole.
Aspettai un bel pò,tanto che dovetti rimandare indietro il garzone venuto a chiedere se poteva portare l’altra granita.Riapparve infine dal portone della Chiesa e venne a sedersi di fronte a me.
-S’è fatto tardi- disse -essere nata qui comporta sempre dei problemi!-
Alcuni si voltarono a guardarla sentendola parlare e  indugiarono sulla sua figura con curiosità.
Chissà quali erano stati i suoi antenati.Erano scampati di sicuro alle scorrerie barbaresche.
-Ti dispiace ?-disse -ma non ho voglia di gelato.Bevo solo un bicchiere d’acqua .–
Dal modo in cui mi guardò capii che iniziare un discorso sarebbe stato difficile.
Le chiesi:-Ci muoviamo?- e ci incamminammo per il tratto di strada che ci era stato indicato.

 

-Bruno Caruso-Pescatore con le conchiglie.-1985-Acquaforte e acquatinta

Bruno Caruso
Pescatore con le conchiglie-1985-
-Acquaforte e acquatinta-

ZOOM

Man mano  che procedevamo si diradavano le casette ad un piano,bianche,rosa o azzurro indaco;apparvero a destra e a sinistra muretti di pietra tirati a secco,su cui salivano rampicanti.Quella parte dell’abitato era silenziosa .C’erano siepi di pitosforo e di bouganvillea: quest’ultima,già fiorita,cascava con i suoi fiori rossi dagli orli dei muri.Oltre le sbarre dei cancelli si intravedevano vialetti di mattoni orlati di gerani,che terminavano sotto i porticati delle case,oppure interni disadorni, dove stavano accatastate fascine di rami secchi.La strada si faceva polverosa ma a vederla aveva qualcosa di particolare, come se parlasse di cose remote.Mi piaceva percorrerla,ma non lo dissi.Alla fine della salita si scorgeva di nuovo il mare.
- M’è venuta fame-disse lei-a te no?-
Raggiungemmo la traversa:sembrava che si perdesse nei campi ma poi c’erano altre case,sparse.Sulla sinistra un fabbricato basso,con i muri di pietra viva,era orlato di tegole di cotto  spioventi.Davanti all’uscio c’era una pianta di gelsomino e sopra lo stipite un’insegna di ferro che somigliava ad una campana.
Scostai la tenda fatta di cilindretti di legno incatenati tra loro ed entrammo.La sala  era di media dimensione,in penombra, con alcuni tavoli ricoperti di tovaglie a quadretti bianchi e rossi. L’arredo era disparato.In un angolo uno stipo-frigorifero a vetri  dove si intravedevano file di bottiglie di acqua minerale e lattine colorate di aranciata e pepsi -cola. Pareva l’unica cosa moderna della stanza.
Una credenza in noce stava addossata alla parete di fondo  ed alla stessa parete era appeso un orologio a pendolo.Nella credenza c’erano varie scansie con bottiglie di vino e piatti.
Si trattava di mobili provenienti da un arredamento familiare.
Un ventilatore  al soffitto muoveva l’aria con le sue lunghe pale ma aleggiava lo stesso un vago odore di pesce fritto.
Sul lato destro della stanza era seduta davanti  ad un tavolino di noce una donna di mezza età,nera di capelli e con la carnagione bruna,indossava un abitino senza maniche di colore chiaro.Davanti a lei stavano in disordine fatture e blocchi per appunti. Accanto,una porta dava sulla cucina: si intravedevano mani affaccendate .
L’ambiente era in effetti disadorno ma non per questo meno accogliente: l’unica nota colorata,oltre le stoviglie,era data dalla tabella con l’ orario dei vaporetti,che, appesa vicino l’ingresso,era di un rosso vivo.
Su una sedia,vicino al tavolino di noce,stava invece seduta una ragazza assai giovane,che quando entrammo si alzò e ci venne incontro.Avendo constatato che eravamo in due ci additò il tavolo più vicino all’ingresso e scostò una sedia.Su di essa la mia compagna si lasciò cadere come se avesse avuto addosso la stanchezza di una giornata intera di lavoro.Prese le mie sigarette e ne accese una.
La ragazza aveva i capelli ricciuti,che le formavano come un casco sulla testa,scendendole sul davanti a coprire metà della fronte.Il viso  era grazioso,un po’ squadrato ma regolare.Le labbra erano carnose  e ben disegnate,serrandole le si formavano due fossette sulle gote rotonde.Gli occhi erano neri e penetranti.
Non aveva l’accento palermitano né napoletano .Semmai,la cantilena sembrava quella del messinese .
Era poco vestita: un gonnellino assai corto le lasciava scoperte metà delle cosce ed una blusa color rosa senza maniche, scollata,lasciava intravedere l’attaccatura dei seni.Una sottile cintura di pelle nera le cingeva i fianchi più per ornamento che per necessità,modificando il suo assetto secondo i movimenti del corpo.
Portava un paio di sandali formati sul davanti da due cordicelle intrecciate che le lasciavano nudi i piedi.La pelle era chiara, senza abbronzatura.
Nell’insieme era innocente e sensuale,ma il viso non esprimeva alcunché,almeno in quel luogo,come se non volesse svolgere quelle incombenze e volesse mantenersi estranea, quasi di passaggio in quell’ambiente.
-Hai finito di osservarla?- mi chiese la mia compagna,piuttosto dura nel tono.
Ci raggiunse l’altra donna e mentre la ragazza toglieva i coperti superflui, con un sorriso garbato elencò tutto quello che era in grado di ammannire la cucina.Parlava da competente,sottolineando il nome di una pietanza più che quello di un’altra quasi ad indurci a preferire  questa a quella.
Erano in ogni caso piatti semplici,fatti esclusivamente di ciò che produceva il luogo.
Nella parlata della madre l’accento messinese era più forte.
Ordinato che ebbi non attesi molto: la ragazza ci servì lieve,camminando quasi a sfiorare il pavimento.Portava piatti di coccio colorati. Appena si spostava nella zona più in penombra della stanza,le sue gambe quasi brillavano di un inquietante biancore.
Desideravo che non venisse altra gente.
Ogni tanto incontravo gli occhi della madre,che mi scrutavano quasi crucciati, cercando di capire.Forse si meravigliava che tra me e la mia commensale non ci fosse l’abituale premura affettuosa di una coppia.
Poco dopo cominciarono ad entrare alcuni dei turisti che avevamo incontrato sulla nave.Subito vi fu rumore di posate e di stoviglie smosse.Si ripeté lo stesso rituale,la ragazza si alzò seguita dalla madre ed entrambe poi scomparvero in cucina.
La sala presto si riempì,senza che io quasi me ne accorgessi e fu come se avessi improvvisamente troncato un colloquio.
Dall’altra stanza sbucò il cuciniere che si accostò ai vari tavoli.Oltre ad un lungo grembiale bianco, portava in testa,cosa che mi meravigliò data la temperatura estiva,un berretto di lana con visiera.Parlava di pesci palamiti,che come si sa hanno la stessa forma del tonno,ma sono più piccoli e si pescano a maggio.Tornando ai suoi fornelli si volse verso di noi e ci gratificò di un cenno di saluto.
Mangiavamo lentamente,con lunghe pause.La madre ci portò piatti di gamberetti  fritti e ci esortò:-Sono stati pescati a Cala  Santa Maria . Li potete mangiare con tutto il guscio,sono tenerissimi .-
Appena alzavo gli occhi dal piatto,cercavo la figura della ragazza.Aspettavo che si accostasse al nostro tavolo e, credo per il solo gusto di farla avvicinare, ordinai altre pietanze e altra acqua da bere.Chiedevo le cose con un mezzo sorriso,guardandola negli occhi, ma lei era sempre distaccata.Aveva la parlata dolce ed il fare indolente.
-Come ti chiami?-le domandai e mi rispose con semplicità.
 –Perché  glielo hai chiesto?-mormorò la mia compagna-che t’importa?—
-Per dare un nome ad un’immagine-risposi,ma era una menzogna. Era come se avessi voluto violare il suo mondo segreto ,come se avessi voluto infrangere il bozzolo in cui stava chiusa la farfalla.
Alla fine del pranzo entrarono nella stanza dei forestieri:parlavano uno stentato italiano e portavano con loro sacchetti trasparenti pieni di capperi al sale e la loro attenzione era rivolta proprio ad essi.Li mostravano sia alla madre che alla figlia  con fare contento.
Alla loro vista,invece,la mia compagna si sentì male:-Io detesto i capperi,solo a vederli mi danno la nausea-
Le accesi una sigaretta e la ragazza portò subito un altro portacenere pulito.Fu il momento in cui l’ebbi più vicina: dal suo corpo emanava un odore casalingo, come di pane appena sfornato.Stavo per chiederle qualcosa  quando all’uscio si fermò rombante un motore.
-C’è Bartolomeo -disse la madre alla figlia.
Intravidi un giovane bruno in arcione:era tracagnotto,quasi pingue e teneva il motore acceso,facendolo salire su di giri ogni tanto, quasi a sottolinearne la potenza.La ragazza si precipitò subito fuori perdendo quel fare compassato ed assente.Stette a chiacchierare con lui un bel po’.
La mia compagna mi chiamò per cognome.Lo faceva solo raramente, quasi ad allontanarmi da lei o a rammentarmi le mie responsabilità.
-Non sei stato un commensale divertente – commentò -direi persino maleducato .-
Voleva ferirmi ma io mi sentivo legato, quasi impacciato nel risponderle. Lei e il suo mondo erano ormai lontani per me.
Che cosa avrei dovuto spiegarle?
_Me ne dispiace- dissi e sapevo che in quel momento eravamo ambedue preda dell’orgoglio.
Appena  potei chiesi il conto. Notai che sul tavolo c’era un numero spropositato di bottiglie di birra e di acqua minerale, alcune quasi intatte.
Il conto mi fu portato ripiegato su un piattino.Posai il denaro sul foglio  e cercai, alzandomi, di vedere chi venisse a riscuotere.
Mi rammaricai di dovermi congedare dalla madre perché l’ultima occhiata l’avevo riservata per la figlia, che invece era improvvisamente scomparsa .
Uscimmo. Ora l’isola sembrava addormentata.Sulla strada del ritorno incontrammo rari passanti.Alcune imposte che avevo visto aperte stavano chiuse,o appena accostate.
L’isola si preparava al pomeriggio.
Camminavamo io e lei come una coppia qualsiasi,ma ognuno era immerso nei suoi pensieri.Ci astenevamo entrambi da gesti confidenziali come il prenderci a braccetto o appoggiarci l’uno all’altro: andavamo insieme ,in compagnia delle nostre solitudini.
In piazza, seduto su una panchina sotto gli alberi secolari  incontrammo il viandante della mattina.Sembrava non essersi mosso mai da lì ,ma aveva capito dove eravamo stati.
- Soddisfatti ?- chiese.
-Si,grazie .-
-Si passano il tempo,non ne hanno bisogno di lavorare –disse -sia la madre che la figlia.-Poi aggiunse: –Se volete un ricordo dell’isola,lì è sempre aperto .- e indicò un punto lontano.
Feci un cenno di saluto e mi diressi verso la strada che a scale scendeva verso l’attracco.
In basso,su un mare di un violento azzurro,si vedeva la nave che aspettava all’ormeggio.

(Rutilio )

 Bruno Caruso. Modella-1976-Acquaforte

Bruno Caruso.
Modella-1976-
Acquaforte.

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